La rivalutazione automatica dell’assegno di mantenimento rappresenta una delle disposizioni più significative e di tutela del coniuge economicamente più debole e dei figli.
Essa risponde all’esigenza di garantire che la somma stabilita a titolo di mantenimento conservi nel tempo il suo effettivo valore economico, evitando che l’inflazione e l’aumento del costo della vita ne erodano la funzione.
La ragione della disposizione
Il principio della rivalutazione periodica dell’assegno di mantenimento trova la sua ratio nella necessità di assicurare la stessa capacità di acquisto del contributo fissato al momento della separazione o del divorzio. In altri termini, se il coniuge obbligato è tenuto a versare un importo mensile a favore dell’altro coniuge o dei figli, tale importo deve essere adeguato nel tempo per mantenere la medesima utilità economica che aveva al momento della decisione giudiziale o dell’accordo omologato.
La rivalutazione, generalmente calcolata in base agli indici ISTAT del costo della vita, non costituisce un aumento dell’assegno, ma un semplice adeguamento alla svalutazione monetaria, volto a garantire la continuità del livello di sostentamento riconosciuto al beneficiario.
Applicazione automatica per legge
Un aspetto fondamentale, spesso trascurato, è che la rivalutazione opera per legge, anche se non è espressamente prevista nel provvedimento di separazione o divorzio.
Lo ha affermato più volte la Corte di Cassazione, secondo la quale l’obbligo di adeguamento automatico dell’assegno di mantenimento costituisce un effetto legale dell’obbligazione e non richiede una specifica previsione .
Ciò significa che, anche in mancanza di una clausola esplicita nel verbale di separazione consensuale o nella sentenza, l’importo deve essere annualmente rivalutato secondo gli indici ISTAT, a partire dal momento in cui l’obbligo di mantenimento è sorto.
L’adeguamento è dovuto d’ufficio, senza bisogno di una richiesta del beneficiario né di un nuovo intervento del giudice.
Il termine di prescrizione
Per quanto riguarda la prescrizione del diritto alla rivalutazione, la giurisprudenza ha chiarito che tale diritto segue le stesse regole dell’obbligazione principale.
Poiché si tratta di un credito periodico, ciascuna rata dell’assegno di mantenimento si prescrive in cinque anni ai sensi dell’art. 2948, n. 4, c.c.
Ne consegue che anche il diritto agli arretrati delle rivalutazioni non corrisposte si prescrive nel termine di cinque anni decorrenti dalla singola scadenza mensile.
Il beneficiario può quindi richiedere la corresponsione delle rivalutazioni non applicate entro cinque anni dalle rispettive scadenze; decorso tale termine, il diritto si estingue per prescrizione.
Conclusioni
La rivalutazione dell’assegno di mantenimento non è una facoltà, ma un obbligo legale a tutela dei diritti fondamentali dei figli e del coniuge più debole.
Essa garantisce che il contributo mantenga nel tempo la sua reale efficacia e che il principio di equità economica tra le parti non venga vanificato dall’erosione monetaria.
È quindi opportuno che i beneficiari verifichino periodicamente l’applicazione della rivalutazione e, in caso di omissione, ne richiedano la corresponsione, tenendo conto del termine quinquennale di prescrizione.